Pittura come viaggio, ma anche viaggio come pittura. E non si tratta di un gioco di parole, ma piuttosto di una sorta di vocazione, che, come nella vita di ogni giorno, fa coincidere due diverse aspirazioni, che diventano una sola attività.
Viaggio, dunque, inteso come un percorso da un punto a un altro, con soste, incontri, ripensamenti e perfino ritorni e partenze e arrivi.
Tutto questo senza bisogno di spostarsi più di tanto, perché c’è, sì, il viaggio da un continente all’altro, ma anche quello all’interno di una sola stanza, come hanno testimoniato Xavier de Maistre in un libro ormai classico e soprattutto Alain Robbe-Grillet in quel breve e dimenticato romanzo che è «Nel labirinto».
E si viaggia, appunto, in un labirinto, che è dentro e fuori di noi, per perdersi e ritrovarsi, ricomporre i percorsi che si intrecciano e finiscono nel nulla e quelli che ci portano altrove.
La pittura diventa, così, un viaggio tra tecniche e improvvisazioni (sì, come nel jazz), addentrandosi nei meandri di una vibrante memoria iconografica, scoperte e déjà-vu, cercando di restituire, ogni volta, il senso stesso del fare, del dipingere, cioè, rappresentando l’artista mentre esegue un ritratto, che a sua volta rimanda a un’altra immagine, che ne contiene una ulteriore, in un gioco di specchi accorto e meravigliato.
Ma il discorso è reciproco, perché il viaggio diventa pittura, come dire racconto e rappresentazione di una quotidianità in movimento, di spostamenti progressivi, scoperte e abbandoni, in un vero e proprio sistema di avvicinamenti e allontanamenti.
Sono un po’ questi i termini entro cui, per il momento, si svolge il lavoro artistico di Ilaria Rezzi.
C’è, allora, il viaggio (avvicinamento e allontanamento, appunto) verso il maestro, che è Gian Paolo Berto, che fin da ragazzo ha scelto di essere artista in ogni fibra, trasformando come una specie di re Mida ogni cosa in pittura e poesia, dando valenza artistica a ogni istante e a ogni gesto del suo quotidiano, antico alchimista dell’esistenza. Il viaggio verso il maestro è anche l’atelier e lo studio, dove lavorare nella condivisione di attimi e scoperte, mentre la parola diventa pietra e il silenzio, come dice il poeta, è una soglia.
E ogni viaggio, si sa, prevede un compagno, che è anche una guida e che, per Ilaria, si chiama Corto Maltese, segno e sogno, riconquistati nel viluppo di segni puri che si intrecciano per dare forma a un personaggio. Un personaggio che è il viaggio stesso, l’avventura, l’infanzia che sogna e la maturità che arriva o riparte. E proprio grazie a questo personaggio, i continenti e le città e i paesi visitati fin dalla prima giovinezza diventano memoria viva, immagine e rappresentazione e, insomma, pittura.
Un viaggio è il mondo di Ilaria e un viaggio è la vita. Un viaggio che è il nostro verso gli altri e quello degli altri intorno a noi.
E Rainer Maria Rilke già lo sapeva: «Ci volgiamo alle cose che di noi nulla sanno, all’albero che dirama e ci sovrasta, a ogni luogo appartato, ogni silenzio; ma proprio così richiudiamo il circolo che passando per tutto ciò che non ci appartiene, torna a sfociare – intatto sempre – in noi».