Il paesaggio come totalità è l’insieme di manifestazioni naturali e umane, è il prodotto di una cultura, di relazioni sociali che contiene in sé, oltre alla dimensione di spazio, una dimensione temporale, la memoria di una storia passata e presente.
“ L’uomo scopre il mondo attraverso il paesaggio . E’ una frase che traduce approssimativamente il principio il mondo è ciò che percepiamo. Forme, colori, dimensione e ordine delle cose, ritmo temporale dei fenomeni, limiti e possibilità della materia, gli si rivelano attraverso gli aspetti sensibili della natura sui quali pertanto si forgiano e si modellano le sue capacità percettive, le sue strutture mentali, i suoi comportamenti fisici, psicologici, i caratteri e i limiti del suo stesso fantasticare, immaginare, progettare.” (Eugenio Turri “Antropologia del paesaggio”).
L’uomo da sempre ha rappresentato la natura dandone in ogni epoca svariate interpretazioni secondo le differenti correnti artistiche, le diverse visuali, tutte comunque rivolte a scegliere, a selezionare un frammento della realtà naturale.
Credo che queste riflessioni abbiano, coscientemente o forse inconsciamente, orientato le ultime scelte artistiche del lungo percorso di vita e d’arte di Lauro Garbo, cercando un percorso di relazioni e suggestioni che potessero guidare verso una visione dell’opera d’arte come spazio dove poter attingere non un modello interpretativo della realtà, quanto piuttosto l’infinita e intricata possibilità di espressione legata alla percezione di ciò che appare davanti ai nostri occhi, che è legata alla nostra memoria.
Il supporto e l’arte della memoria
L’arte della memoria era una arte di notevole importanza nella antichità, data la scarsezza dei supporti (al massimo, rari libri manoscritti, in rotoli).
Un uomo è la sua memoria, un uomo è ciò che ricorda. Se la memoria è demandata ad oggetti, l’uomo non è nient’altro che tali oggetti. Ho sempre avuto il sospetto che una certa cultura contemporanea, al di fuori di questo universo di oggetti e citazioni, di citazioni delle citazioni, sia ben poca cosa. E tuttavia, esiste una permanenza del valore e del senso, al di fuori e al di là dei soggetti e dei supporti: alcune opere restano pietre miliari, vitali, fonte costante di idee, perché più radicate ad universali, ed è utile ritornare ad esse. Tutto il resto, viene escluso dalla nostra mente, è inutile e viene eliminato per economia di spazio e di memoria.
Mi piace estremizzare questo concetto: oggi è più importante l’arte dell’oblio anziché quella della memoria; l’arte di selezionare ciò che va ricordato, e custodito in supporto perché ci può dare ancora qualcosa, e il resto dimenticarlo e possibilmente distruggerlo. Dobbiamo costantemente essere selettivi, il problema non è assumere la maggior quantità di informazione, ma selezionarla, andare alla ricerca di quella utile e rifiutare quella inutile e dannosa, cioè quasi tutta quella che ci viene proposta dai mezzi di comunicazione di massa.
Questo è difficile, in quanto di fatto ci viene riconosciuto il diritto alla vita solo per produrre e consumare merce, non in quanto uomini. Fuori dal circuito produttivo c’è una implicita condanna a morte.
L’ arte della memoria offre un sicuro tramite per individuare alcuni passaggi essenziali della storia in generale, e della nostra vita in particolare, trovo interessante come la storia della memoria riesca ad abbracciare la storia della cultura nel suo complesso: le barriere tra le diverse discipline, tra scienze naturali e scienze umane, tra arte e letteratura, tra filosofia e religione, spariscono nella storia della memoria, cosi come nelle opere di Lauro Garbo, che sono appunto immagini, frammenti di memoria.
Quando l’opera d’arte si libera in maniera salutare dall’ossessione frustrante della rappresentazione/documentazione della realtà è possibile cogliere il senso più profondo insito nell’opera stessa. Innestare la memoria nel presente, immaginare luoghi della mente e del cuore, rendere possibili attraverso il gioco della clonazione del reale la manifestazione di sentimenti interiori, intrecciare passato e presente in una dimensione “altra” nella quale prevale l’emersione di sensazioni private e allo steso tempo universali.
In questo modo il quadro diviene arte dell’impossibile, luogo di transizione nel quale si concretizza visivamente il mondo di un individuo, le sue ossessioni, le sue speranze, i suoi desideri. È in questo territorio che il dipingere da operazione meccanicistica si trasforma in poesia della visione, in libera rielaborazione di un’idea esistenziale.
È esattamente questo il senso di questa mostra intitolata Arte della Memoria, sintesi ultima del lavoro, dell’impegno e della visione di vita di Lauro Garbo. Ne è nato una sorta di racconto in cui situazioni immaginarie vivono un’esistenza a tratti “normale”, a tratti misteriosa. Garbo riproduce in miniatura la realtà e la carica di nuovo senso popolando il mondo di fantasmi, “doppi” angosciosamente bloccati in azioni che evocano l’agire umano senza puntare in modo scontato al gioco banale dell’analogia tra opera artistica e vicende quotidiane, non usando la figura umana, aprendo una dimensione degli spazi reali puntando verso l’abisso del senso.
Una memoria possibile emerge nel lavoro di Lauro Garbo, uno straordinario e “piccolo” racconto tutto interiore costruito lavorando sul suo immaginario, sui ricordi d’infanzia l’autore recupera situazioni personali e “istituzionali”, che nascono dai ricordi d’infanzia e dalla visitazione di musei e letture (che senza cultura non è possibile realizzare creazioni artistiche).
I luoghi della memoria
Che cos’è un luogo della memoria? Tutto può essere oggetto di una collocazione, di una classificazione nell’attesa che gli oggetti così classificati e conservati divengano ciò che si anticipa essi già siano, ovvero dei portatori di memoria. Ma è giusto che la storia sia oggettiva? Non è meglio veramente dimenticare alcune parti e cercare di spedirle nell’oblio, perché alcuni fatti non debbano ripetersi? Se fossimo smemorati saremmo condannati a ripetere gli stessi errori. Se le nuove generazioni dimenticassero terminerebbe la storia dell’uomo. Può darsi che l’oblio sia un fatto automatico ma la memoria è un apparato genitale, talvolta si infetta talvolta si infiamma. È la lanterna del presente, si radica, si riproduce, si ostina, si avvince e non ti lascia andare. Da una memoria ‘ricordo’ ad una memoria, si potrebbe dire, di tipo proustiano, una memoria, struttura le condotte e organizza il campo all’interno del quale una storia è pensabile. La memoria di chi è passante e di chi è passato nella Notre Dame di Paris di Victor Hugo. Dieci verniciature per coprire ciò che ognuno è andato a rivestire. Le nostre società archiviste ed imprese produttrici di memorie continueranno a sfornare i loro magazzini amnestici. Mentre la mente umana tiene conto di concetti sfumati o approssimati che permettono un numero pressoché infinito di soluzioni.
Tuttavia a lungo questo genere memorialista non è servito che a conservare la memoria di ciò che sembrava importante, cioè dei grandi uomini o dei grandi fatti della storia. Ciò che oggi è cambiato è che, al contrario, sono le memorie dal basso, le memorie degli anonimi, di coloro che normalmente non lasciano tracce nella storia a esser prese sul serio e sono queste memorie a esser maggiormente valorizzate. La memoria quanto più è fuggevole tanto più è preziosa.
Le regole del gioco
Si parte da un’idea, che è gioco, simbolo, scambio.
Entrambe ci parlano della rimembranza: l’una, sembra rievocare un periodo storico ormai lontano e le sue atmosfere, in asfittiche ambientazioni casalinghe; l’altra, invece, sembra presentare un album di foto-ricordo. Ma sono giochi, appunto; anzi finzioni.
È finzione palese il suggestivo lavoro di ricostruzione che Lauro Garbo ricostruisce in questo viaggio nell’Arte della memoria: scenografie in miniatura e fantocci di personaggi che ricostruiscono un passato immaginato attraverso i ricordi altrui; e sono quadri, o magari tableau vivant densi di una luce drammatica su cromatismi dimessi, frutto dell’illuminotecnica teatrale.
È un recupero nostalgico dei ricordi cari, ma anche una riflessione meta-fotografica, che ci rimanda alle considerazioni, allo stupore dello “è stato”, ingenuo ma sentito, e da molti condiviso punctum dell’opera; e che arriva a sovvertire l’opinione che “il quadro rende presente un evento passato”. Perché si potrebbe invece dire, parafrasando Pessoa, che il nostro autore è un fingitore. Perché l’opera è veicolo d’invenzione, più che di realtà, ma in qualche modo usa la finzione per dire cose vere.
Ha ragione Fernando Pessoa quando in “Una sola moltitudine” scrive:
Ed evidentemente un pittore è un fingitore, quindi un poeta, tale è Lauro Garbo.
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- Scritto da Manlio Gaddi
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