Adriano de Luca nasce come architetto a Roma verso la metà degli anni sessanta del secolo scorso, e dopo aver brevemente esercitato a Roma si trasferisce in Calabria, precisamente ad Amantea dove è nato nel 1935, per svolgere la sua attività professionale, sviluppando la sua visione come architetto verso la ricerca di una spazialità del tutto ideale.
In tempi recenti, alleggerito in età matura dagli obblighi professionali, ha riscoperto una giovanile passione per l’arte, essendosi già misurato in gioventù con il disegno e la pittura, sentendo ora la necessità fisica di sperimentarsi con una manualità non del tutto scontata, scoprire se il faber che sentiva in sé fosse stato solo sopito o del tutto eliminato dai pressanti impegni di lavoro che troppo spesso tutto assorbono.
Un obiettivo, o forse una necessità, di De Luca è stato di operare all’interno della sua casa, fermo restando che aveva a disposizione gli spazi necessari e sufficienti per sviluppare quanto aveva già mentalmente elaborato e non ancora realizzato. D’altronde oggi il confronto, per lo scultore, si pone idealmente e fisicamente all’interno del proprio studio, con una spazialità concreta intimistica, e si pone esattamente con la realtà sociale complessiva del campo urbano.
Se ricerca più tipica di Adriano De Luca come architetto aveva infatti, come detto, per misura soprattutto una spazialità del tutto ideale, il suo operare come scultore si definiva compiutamente entro le mura dello studio, prescindendo da un riferimento alla scala urbana. D’altra parte non è più vero che, in tempi di Web 2.0 e con il 3.0 alle porte, lo spazio sia il supporto materiale alle pratiche sociali di condivisione del tempo. L’uso delle Agorà oggi non è più fisico, ma virtuale. Ecco che le proposizioni di De Luca appaiono subito con motivazioni critiche più dense di ragioni, più articolata nei livelli di riferimenti, rispetto, ad esempio, al gesto ironico dei colossi monumentali oggettuali urbani progettati da Claes Thure Oldenburg, con la sua ricerca artistica concentrata sul consumismo nella società americana contemporanea, interessato come era soprattutto all’urto immediato ma semplice con l’assurdo dell’ipertrofia oggettuale a scala urbana. Oggi questi oggetti appaiono talmente grandi, fuori scala, che quasi non si notano più.
Adriano De Luca è scultore di lillipuziani modellini, ma non quelli che si affidano -spesso improvvidamente- alle maestranze esecutrici di un cambio di scala, ma destinati a restare tali. Nemmeno scultore di intelligenti progetti e ipotesi concettuali per i quali lo statuto fisico dell’opera -la materia e la sua forma, e sotteso disegno ovvero organica struttura- è in pratica indifferente: un oggetto tridimensionale in funzione di mero supporto. De Luca viene a scoprirsi scultore nel senso più antico e consolidato del termine. Come ancora è dato incontrarne, operosi e creativi, nel grande circo dell’arte contemporanea. Segnatamente in Italia, dove mai si è interrotta, nel secolo scorso, la linea formatrice che trova nel mondo arcaico e classico mediterraneo -dagli Egizi agli Etruschi ai Greci – i propri modelli fondativi. Sui quali via via si sono innestate le visioni estetiche e le ricerche espressive delle diverse epoche e culture. Una “tradizione”, questa, che da Martini a Messina a Marino a Manzù a Murer a Greco a Perez a Vangi, per fare solo un primo elenco di nomi, viene riconosciuta sul piano internazionale tra i caratteri distintivi dell’identità italiana.
Nella piena consapevolezza di appartenere a quel versante, e di appartenervi con una propria identità stilistica, oggi De Luca può legittimamente dirsi erede di una tradizione che sa rinnovarsi nella continuità: è dunque anche possibile ridefinire un profilo operativo dello scultore, cioè di chi pratica la scultura nelle sue dimensioni rinnovate.
Nel XXI secolo, dunque, Adriano De Luca si dedica alla scultura di slancio e con scelta sicura tanto dei mezzi espressivi quanto del mondo poetico da enucleare e nutrire di contenuti. Un mondo poetico incentrato sulla diversa modulazione morfologica e le epifanie del corpo, non mai libero ma con figurazione costrette all’interno di solidi euclidei, che viene vissuto non come inerte modello anatomico di grande versatilità scultorea, nella statica come nella dinamica delle parti che lo compongono, bensì luogo per eccellenza della scultura perché in sé segno plastico portatore di significati e valori antropologici e culturali, estetici esistenziali.
Due, al momento, le linee di pensiero seguite nella scelta e nella esecuzione delle sue opere, da lui denominate rispettivamente Monadi e Digressioni. Le Monadi sono da De Luca definite come: “Piccole porzioni di realtà: delle campionature di conoscenze ed esperienze di vita ritagliate in primitive geometriche”. Come vedremo sono piccole storie chiuse in solidi euclidei. Le Digressioni sono invece delle esperienze, delle ricerche nella forma e nella lavorazione della scultura frequentemente di piccoli animali liberi di agire nello spazio, e non limitati dentro una gabbia, un solido come per le Monadi; si vedano al riguardo le raffinate realizzazioni di Razza, Granseola e Leone Nano.
La scelta dei soggetti è ragionata, e preceduta da una serie di studi che via via elaborati sono stati alla fine raccolti in un compendio grafico, di cui viene data ampia dimostrazione fra le tavole del catalogo.
Convinto delle proprie scelte, ad inizio secolo Adriano De Luca sceglie di creare nel piccolo formato, si rivela naturaliter scultore, e attingeva in breve esiti formali maturi pur essendo in questa veste praticamente un esordiente. Difatti affrontava per la prima volta la materia avendo in mente non una vaghezza, ma una scelta di campo e un percorso. Idee chiare e determinazione operativa da scultore navigato, insomma. Del resto rivelava un innato senso della forma plastica e una manualità che alle prime serie applicazioni, già si rivelava tecnicamente rifinita, con tutta probabilità anche grazie al suo trascorso professionale.
Le sculture sono dette a tutto tondo perché, di norma, la parte esterna, la buccia, è quella lavorata e rivolta allo spettatore e può essere osservata da tutti i lati e sotto ogni angolazione. De Luca modifica questa situazione lasciando, quasi sempre, grezza la parte esterna e chiudendo, all’interno di figure geometriche euclidee, con una preferenza per il cubo e la sfera ma utilizzando anche il cilindro e il piano, le situazioni che gli interessano sviluppando con figurazione non del tutto finite e in particolari a volte non finiti, appunto, tranne qualche motivata eccezione, la parte esterna informe, estranea al contenuto: il che obbliga lo spettatore in un coinvolgimento intellettuale per l’elaborazione della scena ed il suo completamento con l’occhio della mente, sulla base della sua cultura-sensibilità-competenza.
Generalmente la scultura di piccole dimensioni restituisce atmosfere intimiste, contemplative, di meditazione introspettiva, in una dimensione spazio temporale tutta interiorizzata; non reale, dunque, ma di memoria o di aspirazione segreta. Così è, per esempio, per opere come Alcova o Televisione o Ragazze con carlino, completamente chiuse dentro una stanza (un cubo), che osserviamo quasi come vedute di voyeurismo, scoperta dell’intimità, gioco erotico nascosto in un volume che è contemporaneamente aperto e chiuso. La sfera che racchiude le Due coppie è ancora più chiusa, richiama un’ostrica, e crea un rapporto interpersonale strettissimo.
Il tempo, il luogo, lo spazio diventano quelli reali, quelli quotidiani dell’agire, ed è proprio l’elemento plastico che in qualche modo ‘provoca’ la consapevolezza della possibilità dell’interazione.
La scultura come organizzazione dello spazio e della materia propone un ‘continuum’ di sensazioni e informazioni costantemente verificabili e, a volte, anche modificabili (ad esempio spostando il punto di visuale), realizzando un processo di esperienza attiva e stimolando un rapporto conoscitivo. Così in Lassù si resta sospesi fra varie possibili interpretazioni, come: un’azione sopra le nostre teste, una manifestazione religiosa, l’attesa di altra vita intelligente dallo spazio profondo.
Emerge anche da questa predilezione formale la scelta di De Luca di misurarsi più con gli uomini e la vita quotidiana che con le idee o la memoria.
Il dinamismo spaziale acquisisce una dimensione di interna dialettica nel rapporto fra materia e gesto strutturante, che risultano a volte esplicitamente identificati nel netto contrasto fra un’esuberanza materica, informe, primaria, e la sua successiva modulazione in struttura statica finita, richiamante manufatti storici, ed il movimento ristretto al suo interno, come in Monocicli.
Il fascino della metamorfosi è sempre vivo in De Luca, come si vede dall’interpretazione della allegoria di Apollo e Dafne, che ha chiari riferimenti in Gian Lorenzo Bernini, e anche dal Camaleonte che non potendo qui mimetizzarsi con il colore si chiude in una sfera.
Adriano De Luca declina come un ritmo la sua personale esegesi dell’arte contemporanea, ché tale è l’avventura sperimentale delle forme e dei segni, delle tecniche e dei colori visibili negli studi preparatori per le sculture, e nei lavori giovanili alcuni dei quali tendono all’informale. De Luca non rinnega il sentimento della classicità, sentimento che è non di rado intriso ora di nostalgia per il mito, come in Apollo e Dafne, ora di temperie bibliche, vedi Susanna e i vecchioni. In definitiva da De Luca arcaicità, classicità e modernità sono sapientemente correlate in diverso dosaggio e con mobilità inventiva, secondo le necessità del momento e dell’estro del momento.
Non ci si lasci trarre in inganno per il fatto che in De Luca coabitano la logica e la fantasia, il primitivo e il moderno, il magico e lo scientifico, l’archetipo e il personale, l’identico e il molteplice, l’individuale e l’universale, l’ottico e lo psichico, il nuovo e il tradizionale, il razionale e il misterioso, l’imitativo e l’orfico, il formale e l’informe, il senso della musica visiva e la coscienza poetica dell’invenzione.
Quanto detto appare evidente nell’opera Acqua, che ha possibili interpretazioni complesse con la quotidianità, ed un chiaro riferimento con la Tomba del Tuffatore di Paestum, trasportata dalla piatta superficie pittorica ad una modulazione tridimensionale. Ecco che la superficie dell’acqua si pone come linea di separazione fra due diversi stati fisici di un fluido: liquido e aeriforme, e, come per il Tuffatore, il pelo libero del liquido potrebbe essere la separazione fra la vita e la morte; la diversa patinatura delle figure in emersione ed immerse rafforza questa interpretazione. C’è chi si sforza di nuotare, chi viene aiutato, chi gioca, e chi passa da un mondo ad un altro.
Siamo di fronte a media diversi o diversamente trattati, aria marmo bronzo con diverse patinature,
Non si tratta tuttavia per lo scultore soltanto di rinnovamento di «media», ma anche e soprattutto di rinnovamento di termini di confronto, per la sua attività. E oggi del resto, più che mai, il rinnovamento dei «media» non appare giustificabile in sé stesso.
Nelle sue variazioni e mutazioni De Luca è sempre sé stesso e tutta la sua vicenda artistica ci rivela e svela a un tempo il suo pensiero e il suo percepire, in una parola la sua articolatissima e pregnantissima Weltanschauung, attraverso la quale ha saputo mettere all’unisono natura e psiche, visione esteriore e visione interiore.
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- Scritto da Manlio Gaddi
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