“… Vero è che i segni de’ volti mostrano in parte la natura degli uomini, i lori vizi e complessioni; ma nel volto i segni che separano le guance dai labbri della bocca, e le nari del naso e le casse degli occhi sono evidenti, se sono uomini allegri e spesso ridenti; e quelli che poco li segnano sono uomini operatori della cogitazione; e quelli che hanno le parti del viso di gran rilievo e profondità sono uomini bestiali ed iracondi con poca ragione e quelli che hanno le linee interposte infra le ciglia forte evidenti sono iracondi, e quelli ce hanno le linee trasversali della fronte forte lineate sono uomini copiosi di lamentazioni occulte e palesi…”
(Leonardo da Vinci, trattato della pittura – 288)

Le bucce

La buccia (Esocarpo) è lo strato protettivo esterno di un frutto: l’epidermide. La buccia è caratteristica del singolo frutto, ha caratteristiche di superficie e colori che permettono, anche se staccata, di riconoscere il frutto. Allo steso modo la faccia è la buccia del singolo individuo, avendo caratteristiche peculiari tali da permettere di riconoscer il singolo anche fra una moltitudine di persone.
Per questo motivo il ritratto, il trasportare su una superficie la buccia di un individuo, è uno dei temi principali nel campo delle arti visive, dibattuto e sviluppato in mille modi diversi.
Si tratta di un’indagine problematica, intorno al ritratto nell’arte di oggi, cercando di mettere a fuoco i temi nodali della rappresentazione visuale del sé e dell’altro, della relazione ermeneutica che s’instaura tra realtà, raffigurazione e percezione, tra oggetto e soggetto (che dipinge e che guarda), tra resa dell’apparenza, che rende riconoscibile il ritrattato, e sforzo di restituzione di ciò che non è direttamente disponibile allo sguardo. Questioni teoriche che si situano non solo alle radici del genere dal punto di vista storico e funzionale, ma anche, risalendo dal particolare all’universale, ai suoi fondamenti antropologici e alla sua sostanza ontologica.
Il ritratto nell’arte contemporanea
Ufficialmente la fotografia nasce nel 1839 (precisamente il 7 gennaio, data dell’annuncio ufficiale), quando viene descritto il procedimento per la dagherrotipia di Louis Mandé Daguerre all’Accademia di Francia
L’invenzione della fotografia ha determinato una svolta radicale anche nella concezione del ritratto come tipologia pittoricas: ora la maggior parte delle funzioni attribuite al ritratto vengono svolte dall’immagine fotografica, l’opera su tela sviluppa nuove tipologie e caratteristiche, a cominciare dall’abbandono della ricerca della raffigurazione fedele della fisionomia.
Impressionismo prima e cubismo poi creano del ritratto un’immagine composita, dovuta alla moltitudine di punti di vista sotto i quali l’opera può essere vista, guardata, analizzata. Si pensi come esempio al Ritratto di Ambroise Vollard di Pablo Picasso (1910), o ai Tre studi per il ritratto di Isabel Rawsthorne di Francis Bacon (1965).
Per molti artisti il ritratto non è più uno strumento con cui la persona raffigurata viene presentata al mondo, ma diviene un mezzo come un altro che permette all’artista di far conoscere la sua interpretazione del mondo, diffondere il suo linguaggio, la sua ricerca stilistica, alla fine la sua visione poetica.

Teorie del ritratto

Leon Battista Alberti (Della Pittura, 1435) esalta il potere del ritratto, che fa rivivere il modello dopo la morte, ma invita a non anteporre la ricerca della somiglianza a quella della bellezza; per contro Giovanni Paolo Lomazzo (Trattato sull’arte della Pittura, Scultura e Architettura, 1584) afferma la superiorità dei ritratti in grado di riflettere prima di tutto il concetto, l’idea dell’artista. Attorno a questi due estremi si muovono le teorie, e conseguentemente anche la pratica, del ritratto. Per le sue caratteristiche di raffigurazione di un individuo, e quindi mirante alla somiglianza, e di prodotto artistico il ritratto ha sempre sollevato approfonditi dibattiti: è preferibile che sia il più possibile somigliante, oppure l’artista può “nobilitare” il modello ad esempio mascherandone difetti fisici o mettendo in luce possibili qualità morali?

L’espressione dell’interiorità

La riuscita di un ritratto dipende dalla capacità dell’artista di svelare l’IO profondo del modello, di vedere “dentro” al soggetto per poi rendere manifesti i risultati di questa sua visione.
Il ritratto oltre ad esprimere un ruolo sociale è, in parte, in grado di manifestare il temperamento, il carattere, i sentimenti provati durante la posa, ma non è in grado di rivelare aspetti nascosti della personalità.
Aspetti del carattere possono inoltre essere desunti anche dall’ambientazione del ritratto: all’aperto o in una stanza, il bosco o il giardino, gli oggetti che circondano il modello possono esternarne le doti o le preferenze intellettuali, come per esempio nell’opera di GianMaria Lepscky Ritratto di Mario Deganutti , un olio del 1937, dove l’ambientazione nello studio fra libri e quadri, di cui si vede solo la cornice, indica una persona decisa, forte e volitiva, in una ambientazione che Pier Paolo Luderin, autore del saggio La pittura di Gian Maria Lepscky (1897-1965) (in Come d’incanto sospeso… Gian Maria Lepscky, Complesso Museale San Paolo di Monselice. Comune di Monselice, Monselice, 2011) definisce di “realismo magico”, fa intravedere un personaggio forte e volitivo, aperto ai rapporti di amicizia.
Quindi attraverso il ritratto è possibile esprimere caratteristiche positive partendo dall’espressione del volto, dalla tipologia dello sguardo, applicando quel rapporto fra struttura fisica e carattere studiati da Plinio che instauravano un rapporto fra tratti somatici e moti dell’animo (Historia naturale di C. Plinio secondo, tradocta di lingua latina in fiorentina per Cristophoro Landino – Venezia, 1476)
Anche Giovan Battista Della Porta, nel Libro Secondo del “De humana Physiognomia (1586)” cita C. Plinio quale teorizzatore di una classificazione del temperamento dell’uomo secondo la morfologia della fronte, delle ciglia, delle orecchie e del naso.
Un ritratto per essere “valido” deve essere necessariamente espressivo? La risposta è no, anche un volto, una posa volutamente inespressiva può assumere un significato positivo: ad esempio di perfetto autocontrollo.

Il tempo della rappresentazione

Situare temporalmente i ritratti, in questo caso si parla più correttamente di criptoritratti, in epoche passate, o più raramente future o futuribili, è gioco che permette di andare oltre la semplice rappresentazione esteriore per scavare più a fondo nell’animo, nelle caratteristiche personali del soggetto. Si vedano come esempi i numerosi autoritratti che Giorgio De Chirico si è fatto negli anni con abiti storici, e fra le opere in questo catalogo il ritratto di Anna la dama sospettosa di Nando Celin
Anche l’ambientazione storica diviene significativa per la ricostruzione del carattere, la scelta del periodo storico, Medio Evo Età dei Lumi o Controriforma, diviene indicativa delle caratteristiche sia del soggetto che dell’artista.
Presentando i soggetti ritratti come eroi o eroine, vengono automaticamente assegnati ad essi le qualità e le virtù desiderate. Inoltre il criptoritratto può anche essere visto e utilizzato in funzione politica e propagandistica.

Il ritratto in Nando Celin

“Un pittore è completo quando è anche ritrattista.
Forse il ritratto è la misura della grandezza di un pittore.
Ho avuto la fortuna di frequentare l’amico Oleg Supereco (il Michelangelo venuto dal nord) e lo zio della mia compagna, Gianmaria Lepscky (grande novecentista veneziano) tutti due grandi pittori e grandi ritrattisti, per cui ho sempre considerato la ritrattistica con grande rispetto e soggezione (viste le vicinanze e le mie ovvie comparazioni).
I primi ritratti li ho fatti a penna o a matita, ai miei colleghi in banca, con grande scorno dei dirigenti. Ci furono poi gli autoritratti e i ritratti dei famigliari.
Mi sono azzardato di esercitare professionalmente la ritrattistica solo negli ultimi lustri, quando mi sono sentito più sicuro.
Sembra con discreto successo e plauso da parte dei committenti.”
Così si autopresenta Nando Celin, parlando dei suoi ritratti, ed osservando quelli presenti in questo catalogo si nota immediatamente l’interesse per la morfologia del volto.
Alcune fisionomie, lombrosianamente, inducono alcuni vizi: un uomo collerico, sprezzante, stupido ha sempre il suo carattere dipinto sul viso: queste persone non entrano nella galleria di Celin. In realtà le fisionomie più singolari sono quelle che più contribuiscono a caratterizzare le passioni, che attraverso il ritratto vengono esaltate.
Qualunque soggetto trattato si riempie dei caratteri appropriati alle figure, cavando dalla sostanza e dalla natura dei soggetti, secondo l’età e le qualità delle persone, secondo le passioni da cui dovevano essere agitate. Celin sa penetrare nell’animo umano con prontezza e decisione, sapendone poi ritrarre i moti e gli slanci, sa dare a qualunque soggetto il suo vero carattere.

Autoritratti

L’autoritratto riflette un interesse fra il pittore ed il suo IO interiore, segnala la ricerca di un’autocoscienza soprattutto quando l’artista non si raffigura nell’atto di dipingere, se stesso o altro soggetto.
A volte si vede lo specchio dove si riflette, altre volte il ritratto si presenta in posizione frontale, lo sguardo non è “in macchina” e l’opera diventa un ritratto che passa dall’IO al LUI.
Particolarmente interessante, non tanto per la modalità di esecuzione anche se certamente ottima, quanto per successiva elaborazione l’opera Quando c’era più senso, autoritratto giovanile in gessi colorati del 1977: In epoca successiva, nel 1996 come si evince dalla data accanto alla firma, Celin ha aggiunto in basso a sinistra la scritta: “Quando ero giovane! Allora si, avrei dovuto! Quando c’era più tempo, quando c’era più senso!”. Parole di rimpianto per quanto evidentemente non era stato fatto quasi vent’anni prima, e che ora non è più possibile fare.
Come è vero il proverbio: “Meglio avere rimorsi che rimpianti!”.
Lo stesso anno in cui veniva aggiunta la frase all’autoritratto del 1977 eccone uno nuovo dal titolo Lo specchio nero, carboncino e pastello del 1996. Anche in questo caso nel foglio, in basso a destra, compare una scritta, quasi una didascalia, che recita: “Lo specchio nero ha detto: guarda, è quasi domani! Dio mio! È già notte ed io devo ancora partire!” Ancora una volta un rimpianto non solo per un passato che non può tornare, ma anche una certezza in una visione del futuro che non sarà come avrebbe dovuto essere. Almeno in parte. Perché lo specchio è nero? La spiegazione la offre lo stesso Celin, in una comunicazione personale: “… lo specchio era nero sul serio ed era quello da cui mi ritraevo, insomma una finestra con sfondo dietro scuro, per cui quella particolare luce …”.
Un ritratto, ed anche un autoritratto, si sviluppa per versanti diversi, sia dal punto di vista dei riferimenti stilistici, sia dal punto di vista poetico. Un ritratto non è altro che uno scavo interiore, un IO espresso tramite un altro, in definitiva un autoritratto, a volte riscoperto, quasi con avventura o per disperazione, a volte cercato ansiosamente per ritrovarsi, a volte tradotto in una espressività che si fa chiave di più profonde tensioni spirituali.
Sguardi, gesti e posture
Un ritratto non è solo un volto, gesti e posture definiscono anche l’atteggiamento del personaggio nei confronti di colui che guarda il ritratto. Principalmente lo sguardo, ovviamente presente anche nei casi in cui sia raffigurata solo la testa, successivamente la gestualità e la postura indicano non solo la personalità del personaggio raffigurato, ma anche il “come” questi instauri una comunicazione con lo spettatore. Si veda in questo senso l’opera di grandi dimensioni Bastianello ritorna dalla caccia in maglietta mimetica impugna un remo pronto alla voga. Tratti del carattere possono essere espressi dalla posizione della testa (sollevata può indicare altezzosità, inclinata umiltà, piegata di lato temperamento languido o riflessivo, appoggiata su una mano è pensosa) dalla postura delle mani (poggiata su un fianco di un ritratto maschile aggressività, in grembo di un ritratto femminile modestia).
Lo sguardo è molto importante: se diretto allo spettatore vi è un coinvolgimento, se rivolto altrove può esprimere un senso di sottomissione. Prendiamo come esempio il ritratti di Mària: lo sguardi diritto, la bocca semiaperta e la ciocca di capelli ribelle sulla fronte sono il ritratto di una donna decisa, aperta; così come il ritratto del figlio Andrea. Il sorriso de La Fia de Ampelio, aperto e luminoso, il seno spinto in avanti sono caratteristiche di una giovane donna alla conquista del mondo, mentre nonostante la sua evidente bellezza Silvia la luminosa ha lo sguardo di chi ha già meno speranze, e le labbra sono strette. Allo stesso modo una vena di tristezza scorre sul volte de El me amigo Manlio e gli fa da contraltare la tranquilla e maschia fierezza di Fausto Mulloni.
Potremmo continuare ad elencare le caratteristiche dei vari ritratti presenti in questa pubblicazione no per uno, e constatare caso per caso come Nando Celin sia in grado di caratterizzare per ognuno lo stato d’animo del momento, le caratteristiche personali, le passioni che si manifestano nelle varie circostanze a seconda di come varie molle interne possono operare in ognuno di noi.

Amatori e collezionisti

Perché si commissionano, si collezionano, si realizzano ritratti?
Probabilmente si cerca nel ritratto una funzione sostitutiva, più che rappresentativa, con la sua capacità si immortalare, catturare i lineamenti in un’immagine che sopravvive al soggetto raffigurato, come sembrerebbero dimostrare, ad esempio ma non solo, i numerosissimi ritrovamenti di ritratti, solitamente encausti su legno, che ricoprivano i volti delle mummie nel bacino del Fayum.
Oggi queste potenzialità sono per lo più attribuite alla fotografia, che tuttavia solo quando raggiunge il livello essa stessa di opera d’arte è in grado di gareggiare con il dipinto.
Inoltre, come detto, un dipinto è in grado di suggerire ai posteri le qualità che il soggetto raffigurato aveva in vita, fossero esse reali o solo supposte.

Conclusione

I ritratti di Nando Celin nascono sul difficile versante dell’abbandono di una classicità un tempo ricercata. È una tendenza che si manifesta attraverso l’ovvia immobilità del soggetto, della luce come modellatrice delle forme, dell’indagine psicologica come espressione di un io nascosto.
Non a caso scriveva Leonardo da Vinci (trattato della pittura – 134):
“… Parmi non piccola grazia quella del pittore, il quale fa buone arie alle sue figure. La qual grazia chi non l’ha per natura la può pigliare per accidentale studio di questa forma. Guarda a torre le parti buone di molti visi belli, le quali parti sieno conformi più per pubblica fama che per tuo giudizio; perché ti potresti ingannare togliendo visi che avessero conformità col tuo; perché spesso pare che simili conformità ci piacciano, e se tu fossi brutto eleggeresti visi non belli, e faresti brutti visi come molti pittori, chè spesso le figure somigliano al maestro; sicché piglia le bellezze, come ti dico, e quelle metti in mente … ”