Renzo Fortin è personaggio poliedrico e funzionale.
Poliedrico perché l’artista Fortin è al tempo stesso raffinato poeta, pregevole costruttore di viole e violini, stimato docente di disegno e storia dell’arte nonché considerato pittore.
Funzionale perché l’uomo Fortin riesce a concepire, progettare e portare a compimento queste attività con consumata maestria e profonda preparazione culturale e professionale.
Ma in questa, per forza di cose breve, escursione nell’arte di Renzo Fortin l’aspetto che più interessa scandagliare è sicuramente quello pittorico, anche se le altre attività non possono essere di certo disgiunte ed estrapolate da questo.
Perché e evidente e logico che ogni lato della “forma artistica” di Fortin si interseca con l’altro in un gioco di richiami e di rimandi che si alimentano a vicenda generando un continuum, al giorno d’oggi quasi assolutamente unico nel panorama delle arti e dei mestieri, degno di personaggi che ormai popolano i libri di storia ed i trattati.
Nell’intento di dare una lettura, che vada oltre la generica visione superficiale, all’opera pittorica di Renzo Fortin ed accostandoci quindi con umiltà e curiosità ai suoi dipinti colpiscono immediatamente due aspetti: l’ambientazione dei soggetti, quasi esclusivamente notturna, e la realizzazione delle forme attraverso una puntuale e precisa ricerca personale del disegno.
Per quanto riguarda l’escursione nella particolare ambientazione notturna credo che possiamo sicuramente iniziare affidandoci ad un brillante passaggio di Manlio Tommaso Gaddi che, in una presentazione per Renzo Fortin di qualche anno fa, recitava:
“Il suo elemento è la notte. Il crepuscolo, presente principalmente nelle opere giovanili, è vissuto come attesa della notte, dei suoi colori, della sua vita segreta. Nelle opere più recenti, più mature, risultando elaborazione di un percorso personale di studio e di raffinazione tecnica e stilistica, la preferenza dell’autore và decisamente verso la notte, perché è di notte che nascono tutte le fantasie più profonde e liberatorie..”
Ecco proprio da questo ultimo pensiero, “perché è di notte che nascono tutte le fantasie più profonde e liberatorie” che bisogna partire per leggere e comprendere la pittura di Renzo Fortin.
La notte come liberazione dalle difficoltà e dagli affanni del giorno precedente: “Facci un bel sonno sopra” diceva un vecchio proverbio; la notte come tempo di riflessione cauta e meditata: “La notte porta consiglio” recitava un altro; la notte come periodo appunto in cui nascono tutte le fantasie più profonde e liberatorie. E sulle fantasie, siano esse oniriche o coscienti, e sulle paure della notte stuoli di psicanalisti hanno costruito nel secolo scorso le loro teorie e le loro fortune.
Si perché è anche vero che per la maggior parte delle persone la notte è, anche, il tempo delle paure ancestrali, dell’ignoto e del non conosciuto.
Solo gli uomini che hanno realizzato un loro personale percorso liberatorio possono aspirare a gustare le peculiarità della notte, e Renzo Fortin è una di questi, tanto che una delle sue passioni sono le passeggiate con il buio.
Le fantasie che nascono nella notte, e dalla notte, dunque come strumento di liberazione per riscattarci dalla pochezza e dalla vicissitudini dell’esistenza cui ci costringe la nostra condizione umana.
Le fantasie più profonde come forza rigeneratrice che partendo, a volte, dalla personalità preesistente partecipano alla costruzione ed allo sviluppo costante ed omogeneo della nuova e che, a volte, nei momenti convulsi e tumultuosi delle difficoltà o delle conversioni improvvise generano “l’uomo nuovo”.
Genesi solo apparentemente immediata, improvvisa e sorprendente ma in realtà frutto di rimescolamenti profondi e sconvolgenti, a volte anche dolorosi, come lo può essere l’esplosione improvvisa di un vulcano: sorprendente solo per chi non ne sa leggere i segnali ma in realtà risultato di sconvolgimenti sotterranei profondi, liberazione di forze immense che sconvolgono e mutano la geologia precedente come sconvolgono e mutano l’animo e la personalità umana.
La notte dunque come tempo per attingere forza rigeneratrice e ritemprante dalle difficoltà del giorno precedente e come preparazione per poter affrontare le nuove difficoltà del giorno successivo ma anche come tempo per preparare le maturazioni profonde, i cambiamenti radicali le conversioni dell’anima.
Questa la filosofia e la forma mentale che sta alla base, ed è la base, dell’opera di Renzo Fortin.
Ma la notte è anche il tempo in cui le forme non sono più nitide, la mancanza di colore, il nero per definizione è assenza di colore, la poca luce presente, quella delle stelle o della luna, in questo caso sempre velata dalle nubi, filtrata dai rami di un albero o piccola e distante, quasi che, la luce di un plenilunio possa essere troppa, troppo invadente ed indiscreta.
La notte è il tempo che nasconde gli spigoli, le angolature violente che possono disturbare, che possono essere, o diventare, dolorose.
La notte è lo strumento dunque che Renzo Fortin, persona ed artista sensibile, utilizza per velare un poco la realtà: non per nasconderla, seppur per quanto possa essere brutta. Non è nel suo stile, nella sua natura: è uomo troppo vero e coerente per farlo.
La notte è strumento che Fortin utilizza, per addolcire ed arrotondare le forme della realtà, quasi a trasformarla in un’entità femminea, il lato femminile, quello umano o delle cose, è per definizione quello meno violento ed aspro.
Da notare a questo proposito che anche le forme delle opere non sono quasi mai rettangolari o quadrate, come si usa comunemente, ma rotonde od ovali quasi a sottolineare il concetto.
I soggetti nell’opera pittorica di Renzo Fortin sono, quasi esclusivamente, appartenenti alla natura ed al paesaggio: sono colline, pendii, pietre, campi di grano, filari o alberi solitari, tronchi, immersi nella luce o nel riverbero di stelle o luna, o lucciole nella notte, ancora poca luce.
Sparuta la presenza di forme umane, e quando ci sono appartengono al mondo della leggenda o del mito: fauni ghignanti, Ulisse ed Atena, ritratta in forma di civetta bianca. O, se legate alla realtà, sono fermate con la visuale dalla nuca o con inquadrature parziali: le linee prospettiche che proseguono oltre i limiti fisici dell’opera, vedi “Giuditta”. O, ancora, sono forme antropomorfe ed immerse in realtà molto più grandi, quasi a dissolversi, o sono nascoste in forme della natura, come nei massi per esempio. A questo proposito è significativa ed emblematica l’opera “Autoritratto”.
L’ambientazione, come si diceva all’inizio, ed il disegno, caratterizzano l’opera di Renzo Fortin.
Si perché è chiaro che se non ci si affida al colore per portare il messaggio bisogna affidarsi alla forma, ma se la forma è nascosta dalla mancanza di luce l’unica possibilità che rimane al pittore per esprimersi è affidarsi ad una preparazione di base che contempli una padronanza assoluta del disegno che permetta di essere veicolo, l’unico possibile in questo caso, del messaggio.
Per meglio comprendere il percorso intrapreso da Renzo Fortin nella sua personale ricerca sull’uso del disegno come mezzo espressivo bisogna avere la pazienza, e l’umiltà, di avvicinarsi anche alla sua produzione grafica che, paradossalmente, risulta essere composta da soggetti più variegati rispetto alla pittura e dove una parte importante è riservata ai ritratti.
Nell’opera grafica il segno è pulito ed essenziale, il tratteggio ampio e rarefatto, la forma è connessa ed intrinseca al messaggio, i vuoti sovrastano ampiamente i pieni in quantità ma sono parte essenziale e fondante dell’opera.
Artisti di tale capacità interpretativa e sensibilità emotiva vantano una loro autonomia ed una loro originalità poetica, comunque al di fuori e comunque al di sopra delle correnti artistiche e delle mode.
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- Scritto da Claudio Massaro
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